Oggi va di moda accusare gli altri di non avere fatto o di non fare, ma l'amara verità e' che per l'ennesima volta, ognuno si è trincerato dietro una piccola parte del proprio compito, facendo sapere a tutti di averlo svolto nel migliore dei modi, almeno nel rispetto della legge. Ma quando dobbiamo cambiare una tradizione, una cultura millenaria, un modo di vivere, insomma quando bisogna cambiare una parte del DNA di un sistema, non può bastare lavorare su un complesso di norme. Tutti noi, che direttamente o indirettamente ci occupiamo del settore, non siamo stati in grado di uscire dall'anonimato delle norme per sconfiggere il problema della peste suina, non siamo stati in grado di far capire che se riuscissimo a trasformare in commercio quelle tradizioni oggi in discussione, probabilmente potremmo avere un futuro dalla suinicoltura sarda. Eh si! Perché i nostri prodotti in alcune zone della Sardegna non sono buoni, sono eccezionali. Ma qualcuno ha mai assaggiato i sapori di un prosciutto crudo di Villagrande, di Talana, di Desulo o di Fonni? Quei prosciutti che troviamo in qualche spuntino di campagna, o ad un invito di un amico, quelli che molti vorremmo mangiare ma che però condanniamo? A questi prodotti non siamo riusciti a dare nella totalità dei casi una risposta che potesse diventare mercato, che potesse diventare business, che potesse diventare opportunità di crescita per il territorio. Ed e' troppo semplice dire che è colpa degli altri. Dobbiamo ammettere tutti, senza ipocrisie, che questo rappresenta un vero fallimento per l'intera Sardegna: per il sistema istituzionale, sconfessato nei fatti; per noi delle rappresentanze incapaci nella ricerca di soluzioni per la Sardegna, o parte di essa, dipinta come il regno dell'illegalita'. Non è questo un tentativo di cercare commiserazione, e' la realtà, e' un modo per dire che la soluzione, onestamente, la dobbiamo trovare noi, non la possiamo demandare agli altri, ma è anche un modo per ammettere che noi, non sappiamo che più che soluzione trovare. Le abbiamo tentate tutte o quasi, per risolvere il problema della peste suina e oggi, si sussurra, senza troppa enfasi, che dovremmo arrivare al vuoto biologico. Sarà questa la scelta giusta? Sicuramente con questo sistema si potrebbe risolvere la vicenda dal punto di vista epidemiologico e normativo ma siamo sicuri che senza trovare soluzioni chiare per quei territori, il problema non si ripresenti sotto altre forme? Ciò che manca certamente e' un indirizzo forte per l'economia suinicola della Sardegna, che nessuno in trentaquattro anni ha mai dato, un indirizzo che non si potrà mai leggere nei piani di eradicazione della peste suina, un progetto che non può che nascere dalla Regione Sardegna, dalle rappresentanze, con il coinvolgimento delle popolazioni e degli imprenditori locali. Un progetto non fatto di norme, ma di marketing, di territorio, di cultura, di tradizioni. Allora può essere certamente utile convincere la Comunità Europea a non chiudere le esportazioni, ma questo non può rappresentare l'obiettivo ultimo, così come non può essere ultimativo debellare la peste suina senza pensare di accompagnare un progetto economico di sviluppo per il mercato. Tutta questa brutta storia che dura da troppo tempo, e' ormai diventata talmente scontata che, dopo tanti anni, sembra quasi essere diventata parte della storia della Sardegna.
Auguriamoci da sardi, di essere noi un giorno a poterne scrivere il lieto fine.
Battista Cualbu, Presidente Coldiretti Sardegna
25 Marzo 2013
ESISTE UNA SOLUZIONE ALLA PESTE SUINA?